ebook di Fulvio Romano

mercoledì 30 luglio 2014

Ingo Schulze: La nuova Germania mi fa paura...

LA STAMPA

Cultura

Ingo Schulze

La nuova Germania

mi fa paura

A 25 anni dalla caduta del Muro, parla lo scrittore della ex Ddr

“L’economia controlla tutto, stiamo schiacciando il resto d’Europa”

Uno slittamento di dipendenze e di libertà: è stato questo il passaggio dalla Ddr alla Germania riunificata, per Ingo Schulze. Il grande scrittore tedesco traccia in quest’intervista a tutto campo un bilancio amaro dei 25 anni dalla caduta del Muro e ammette il proprio disagio di vivere in un Paese che sta schiacciando il resto d’Europa. L’autore di Vite nuove, cresciuto al di là della cortina di ferro, ammette apertamente di considerare il sistema attuale criticabile quanto quello della Germania Est, ma respinge l’accusa di essere «ostalgico».

Schulze, la crisi ha reso la Germania più egoista? «Sono sempre più scettico rispetto a quando sta accadendo non solo in Germania, anche in Europa. C’è una crescente polarizzazione e il modello dell’omologazione dei Paesi dell’Est al nostro è fallimentare. Andrebbe messa in discussione l’ideologia della crescita. Ogni volta che c’è un problema, si cerca di risolverlo attraverso il Pil. Ma la disoccupazione non si può affrontare così».Be’, insomma… «Inoltre mi preoccupa il ruolo della Germania in Europa: la sta schiacciando economicamente, facendo un dumping enorme sui salari. Ovvio che gli altri Paesi ne escono a pezzi. Con questa politica, l’euro non può sopravvivere. Inoltre è chiaro che il nostro lusso più recente è esportare distruzione». In che senso? «Ho letto che il 60% dei danni ambientali della Svizzera vengono prodotti all’estero, immagino che le percentuali siano simili per la Germania. Almeno nella Ddr le schifezze che producevamo ce le respiravamo noi. Ormai la nostra realtà è ambigua. E, a proposito di Germania Est, è chiaro che i danni delle frettolose privatizzazioni sono enormi, in termini di assurdità e di mostruose diseguaglianze».A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino il suo bilancio dunque qual è? «Ormai sono convinto che quanto successo sia stata un’annessione. È vero che da un lato è ben riuscita: da noi non sono mai emersi fenomeni di separatismo come in Italia, nel Regno Unito o in Spagna. Ma la Germania Ovest si è ritagliata il ruolo di potenza vincitrice e improvvisamente tutto ciò che era stato fatto in Oriente era sbagliato». In un suo libro recente un personaggio dice «quello che la Germania non ha fatto con i panzer, lo sta facendo attraverso l’economia». È anche la sua opinione? «È un paradosso. Ma è indiscutibile che la Germania stia schiacciando gli altri Paesi europei. Sono sempre più convinto che nel 1989 si sia verificato uno slittamento di libertà e di dipendenze. Oggi godiamo della libertà politica, di stampa, della libertà di viaggiare, ma tutto è ridotto a una dimensione economicistica. L’economia ha assunto un ruolo di controllo e molte cose non vengono più fatte attraverso l’oppressione, ma attraverso incentivi». C’è una bella differenza tra andare in carcere o essere spiati dalla Stasi per una parola sbagliata e farsi dirigere nelle scelte da un ragionamento di costo-opportunità… «Sì, ma si tratta comunque di una forma di dipendenza. È perverso sentire manager che si vantano di dormire troppo poco a causa del lavoro. Tutto è talmente competitivo che si sfrutta anzitutto sé stessi fino all’osso. Un modo più subdolo di opprimere, se posso dire. E io non penso che guadagnare tanto possa essere l’unica aspirazione nella vita di una persona». Alcuni scrittori della sua generazione, cresciuti anch’essi nella Ddr, come Thomas Brussig o Uwe Kolbe, accusano gli intellettuali di peso di allora di aver criticato troppo poco il regime. Un esempio eclatante è la tirata contro Christa Wolf di Brussig in Eroi come noi, ma anche Kolbe in un’intervista recente con La Stampa ha additato Wolf, e anche Heiner Müller e Wolf Biermann, come corresponsabili della lunga sopravvivenza del regime. «Anche io la pensavo come loro all’inizio degli Anni 90, ma poi ho riflettuto molto sul loro ruolo e sul mio e non la penso più così. E Christa Wolf o Volker Braun sono diventati molto importanti per me, sono stati in parte gli unici a mantenere una visione lucida delle cose. Penso invece che oggi manchino intellettuali critici con il sistema. All’epoca della Ddr ci si è battuti per tanti diritti di cui non si parla proprio più, per esempio il diritto al lavoro. Una delle prime cose sparite con la riunificazione. Per me il sistema odierno è criticabile quanto la Ddr». Non le sembra di esagerare? Quindi lei il 9 novembre 1989 fu tra quelli che gridarono all’impazzimento generale, come l’attivista Bärbel Bohley? «Be’, spaventò anche me. Temetti che nessuno sarebbe più venuto alle nostre riunioni, che avremmo smesso di lottare per un Paese migliore. E infatti. Ci cominciarono a dire “puoi farcela anche tu, se ti rimbocchi le maniche”, ma a noi non importava nulla. Fummo invece respinti verso una dimensione privata. Per noi la caduta del Muro doveva essere solo una tappa verso una Ddr riformata. Ma è chiaro che quando un Paese perde la sovranità sulla propria frontiera, perde tutto». Quindi lei ci credeva alla «Terza via» tra socialismo e capitalismo. Il problema è che milioni di suoi concittadini no, e lo dimostrarono con il voto di marzo del 1990. Alle prime elezioni libere della Ddr, il partito di Kohl stravinse. «È vero, e fu uno choc. Comunque non è che credessi alla Terza via, era già troppo tardi. Ma tante decisioni si sarebbero dovute prendere con più calma, a cominciare dalle privatizzazioni. E bisogna anche ricordarsi che Kohl veniva nella Ddr a promettere il cielo in terra». A un quarto di secolo di distanza, dopo duemila miliardi investiti al di là dell’Elba, non può negare che la riunificazione sia stata un successo. O rivorrebbe la Ddr?«No, senta, la verità è che appena uno critica la Germania viene accusato di essere “ostalgisch”, di avere nostalgia del regime. Non sono mai stato un eroe, ma anche io ho rischiato qualcosa nel 1989 per ottenere la libertà». Lei viene definito anche un “Russlandversteher”, quasi un’accusa di eccessiva vicinanza con Putin. «È spaventoso quanto sta accadendo lì. Sulla homepage di Yazeniuk c’è il simbolo della Nato. Gli oligarchi che regnano ora in Ucraina sono gli stessi che hanno depredato il Paese. Ovvio che la Crimea è stato un atto sbagliato da parte dei russi; ma non gli avevamo promesso che la Nato non si sarebbe mai estesa a Est della Ddr?».

Tonia Mastrobuoni