ebook di Fulvio Romano

sabato 5 luglio 2014

Ma contro Renzi e Hollande ci sono anche i falchetti di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda...

LA STAMPA

Economia

Ma anche i “piccoli” in crisi

sono contro Roma e Parigi

Il muro di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda: perché i sacrifici solo per noi?

Non bisogna convincere solo i falchi del Nord del fatto che sarebbe meglio essere «più flessibili nell’applicare la flessibilità esistente». Ostacolano il cammino dell’Italia a caccia di spazi per contenere il costo delle riforme, e della Francia che la segue da vicino, anche Paesi più piccoli o meno tradizionalmente rigoristi. Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia capiscono le esigenze di Matteo Renzi, come tutti del resto. Però faticano a venire a patti con un grande Paese (due, se mettiamo i transalpini) che insegue lo sconto sulle regole quando loro, a un prezzo elevato, i compiti a casa li hanno fatto eccome, e ora cominciano a vederne i frutti.

Incidentalmente si tratta di quattro governi a guida popolare che devono ragionare sulle richieste di due leader della famiglia socialista e democratica. Non semplifica il gioco. Di casa Ppe sono anche i tedeschi, i finlandesi e svedesi, mentre la danese Thorning-Schmidt, candidata che piace anche alla Merkel per la presidenza del Consiglio Ue, pratica un socialismo davvero ai limiti del Ppe ed è un’altra fedele sostenitrice del «debito prima di tutto».

Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato la scorsa settimana di sentirsi «a suo agio» con il patto di Stabilità, l’impianto varato all’unanimità dai governo europei (e non imposto da un eurocrate pazzo) che fissa i paletti da rispettare per tenere sotto controllo la contabilità pubblica Ue. «Il messaggio da passare - ha detto - è che non è bene far aumentare il debito, perché non è bene spendere ciò che non si ha: il primo obbligo è tenere sotto controllo la finanza di stato e lavorare per la crescita». Doveva avere un ghostwriter della Bundesbank.

La sua determinazione, come quella del colleghi popolari portoghese e spagnolo, è finita nel documento programmatico controfirmato a fine giugno in un vertice a Lisbona e rilanciato a Strasburgo davanti a Renzi dal capogruppo Manfred Weber. Facile, per il bavarese della Csu, sodale della Merkel. I tedeschi hanno l’insofferenza per il debito pubblico nel Dna, anche se quello privato lo praticano con discreta allegria. Manifestano questo loro rifiuto con una teoria logica, condivisa fra l’altro anche da Commissione e Bce. Se dovesse ripartire una crisi, i Paesi con i conti fuori regola pagherebbero il prezzo più alto in termini di spread e metterebbero in pericolo l’Eurozona e tutto il resto. Avere un socio col debito al 134% del Pil fa venire i brividi a chiunque pensi a una possibile crisi. Per questo, la linea di falchi e falchetti è che le riforme vanno fatte. Che si è pronti ad agevolare chi le realizza. Ma che le regole si applicano «al meglio», ma non si cambiano. E basta così. Proprio come hanno detto i leader al vertice Ue del 27 giugno.

Marco Zatterin


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