ebook di Fulvio Romano

martedì 22 luglio 2014

"La ripresa non c'è perché l'euro è troppo forte..."

LA STAMPA


Economia

Il super euro gela export e crescita

A maggio rallentano gli ordinativi dell’industria italiana, per la prima volta dopo otto mesi consecutivi di aumento

Dai tassi d’interesse bassi all’aumento di liquidità, ecco le ricette degli economisti per svalutare la moneta unica

Che fosse un problema gli addetti ai lavori lo sapevano da tempo. La settimana scorsa di fronte ai parlamentare europei Mario Draghi l’ha detto chiaro: «L’euro forte è un rischio per la ripresa». Che possa essere parte della soluzione ancora no. Vuoi perché gli ortodossi lo considerano un argomento troppo prossimo a quelli dei no euro, o perché, a conti fatti, crederci fino in fondo sarebbe illusorio. Ma di questi tempi i dogmatismi non aiutano, meglio non lasciare nulla di intentato. Gli ultimi dati sugli ordinativi dell’industria italiana ci dicono che a maggio, dopo otto mesi consecutivi di aumento, sono scesi del 2,1 per cento su base mensile, il 2,5 su anno. E che nonostante il boom di alcuni settori (apparecchiature elettriche e mezzi di trasporto con aumenti a due cifre) gli ordinativi esteri hanno perso il 4,5 per cento.

Di recente il sasso l’ha lanciato l’amministratore delegato di Intesa San Paolo Carlo Messina: «L’unico modo di riavviare l’economia reale dell’eurozona, oltre allo stimolo della domanda interna e alle riforme, è la svalutazione dell’euro». Capire come una economia così debole possa contare su una moneta così forte è materia interessante, ma qui poco utile. Resta il fatto che il cambio euro dollaro è oggi stabilmente attorno a 1,35, ben sopra la media storica dalla nascita della moneta unica di 1,22. Che fare? La Banca centrale europea non ha il potere statutario di intervenire direttamente. I tassi bassi e l’aumento della liquidità a favore delle banche può spingere il deprezzamento della moneta unica, ma a detta di molti non sarà sufficiente a far scendere il cambio nella dimensione che sarebbe necessaria all’economia europea. Paolo Savona scuote la testa: «Poiché la domanda interna non riparte, ora si scopre l’importanza di quella estera. Ma la Bce negli anni ha teorizzato l’euro forte e oggi non ha gli strumenti che altre banche centrali hanno per muovere il cambio. Io una idea su cosa fare ce l’avrei: poiché non credo che i tedeschi accetterebbero mai una modifica delle regole, meglio sarebbe dotarsi di un fondo sovrano europeo e fargli comprare molti dollari. Io resto fedele alla lezione di Paolo Baffi: fra l’impulso monetario attraverso le banche e una manovra sul cambio preferirei di gran lunga la seconda».

Fabrizio Guelpa dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo cita due numeri: «Per avere un impatto significativo sull’economia italiana - intendo dell’ordine di un punto percentuale - il cambio dovrebbe scendere ad un livello oggi fantascientifico, attorno a 1,10. Con un valore attorno alla media storica - circa 1,20 - si può ipotizzare un beneficio di mezzo punto di Pil». A essere nei panni di chi ci governa, sarebbe già un gran risultato. Renato Brunetta, che ha abbracciato la bandiera della svalutazione dell’euro, punta il dito contro i tedeschi: «Sarebbe sufficiente costringerli a rispettare i patti. L’euro forte è il prodotto dell’enorme surplus della bilancia commerciale tedesca. Se la Germania rispettasse le indicazioni della Commissione europea e spingesse per un aumento della sua domanda interna, questo comporterebbe automaticamente una crescita dell’inflazione in tutta l’area e un calo del cambio».

Una delle ragioni che in questi mesi hanno spinto all’insù il valore dell’euro è l’uscita dai Paesi emergenti di molti capitali: non tutti i mali vengono per nuocere. E in fondo, per chi come i tedeschi in questi anni hanno rafforzato la propria struttura produttiva e oggi competono sulla qualità prima che sui prezzi, il problema del super euro è relativo. Chi soffre di più sono i settori tradizionali - l’alimentare, il turismo - e chi esporta soprattutto verso gli Stati Uniti. «Non è difficile capire perché i francesi siano così preoccupati», spiega Alberto Quadro Curzio. «Però è inutile farsi illusioni. Con tassi così bassi per far scendere in modo significativo il livello del cambio ci vorrebbero soluzioni eterodosse che oggi non vedo possibili né per la Banca centrale, né tantomeno per Consiglio e Commissione europea». Le condizioni alle quali firmare il Trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti sono all’ordine del giorno, il costo del cambio euro dollaro no. Come sempre ai governanti europei manca la visione d’insieme.

alessandro barbera


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