ebook di Fulvio Romano

sabato 23 agosto 2014

Aumentano le esportazioni italiane negli USA

LA STAMPA

Economia

richieste record per i prodotti in metallo, in gomma e in materie plastiche. il governo accelera sugli investimenti per la promozione

L’America spinge le esportazioni dell’Italia

Nei primi sei mesi un balzo del 7,8%. Il viceministro Calenda: ora è il primo mercato di crescita potenziale

Nella cartina dei flussi di scambi fra l’Italia e il resto del mondo la grande scommessa di chi ha esportato negli ultimi anni è stata quella che aveva spinto Marco Polo a Oriente. Turchia, Cina, Russia, India: la crescita prepotente di quelle economie oggi è il mercato più ricercato dai settori tradizionali della manifattura italiana, dal tessile alle macchine utensili. Gli ultimi dati dell’Istat ci raccontano però un paradigma in trasformazione. Negli primi sei mesi di quest’anno le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono cresciute del 7,8 per cento rispetto al primo semestre del 2013. Solo a giugno l’aumento è stato del 15,6 per cento rispetto a maggio e il surplus commerciale ha superato gli otto miliardi di dollari, contro i 5,7 del semestre precedente. I dati disaggregati dell’Istituto di statistica saranno disponibili in settembre, ma nel frattempo ci si può orientare con quelli del Dipartimento del commercio americano, che ci indicano i mercati più dinamici da gennaio a giugno. Non c’è solo l’aumento - fortissimo e intuibile - dell’importazione negli Usa di auto, trattori e motocicli (+31,72%) trainato dalla sempre più forte integrazione fra Fiat e Chrysler. Né solo quello dovuto alle esportazioni più tradizionali come le preparazioni di carni e pesce (+40,32%), delle farine o della frutta: cibo e vino non hanno mai smesso di riempire le stive di aerei e navi che volano fra le due sponde dell’Atlantico. La vera novità è la crescita dei settori più legati all’industria come le esportazioni di alcuni prodotti in metallo (+143%) di quelli in gomma (+13%), delle materie plastiche (+14%) delle parti di aereo (+11%) o delle calzature (+10,4%). Come mai? Cosa sta accadendo?

La risposta è nella cosiddetta reindustrializzazione dell’economia americana. Dalla fine della crisi finanziaria, nel 2009, il manifatturiero ha registrato quasi sempre tassi di crescita molto più alti degli altri settori. «L’aumento più forte registrato in questi mesi - circa il 20 per cento - è dovuto alla ripresa delle vendite di macchine utensili», dice il viceministro con delega al Commercio con l’estero Carlo Calenda. «Questo dimostra che nel mercato americano tornano a nascere imprese tradizionali, piccole e medie». Le ragioni sono almeno tre: lo sviluppo dello shale gas, che alimenta un enorme indotto, la massa di liquidità emessa dalla Federal Reserve, e la forte concorrenza fra gli Stati americani, i quali fanno a gara per attirare capitali da altri Stati o dall’estero. È facile sbarcando a Salt Lake City, nello Utah, a Houston, in Texas, o in Alabama, trovare l’ente di promozione commerciale disposto a garantire aree a bassissimo costo e tasse azzerate per i primi tre anni di attività.

Secondo i calcoli dell’Ice per l’Italia, nei prossimi due anni, gli Stati Uniti saranno il mercato dal quale si potrà trarre maggiore beneficio: dei 50 miliardi di euro di aumento potenziale dell’export, più di nove possono essere fatti negli Stati Uniti. La Cina è seconda ad una incollatura (8,9 miliardi), la terza è la Germania, con 4,2 miliardi. Ecco perché dei 160 milioni di budget che l’Italia l’anno prossimo dedicherà alla promozione commerciale (sono quelli previsti dal decreto Sblocca-Italia), più di trenta verranno dedicati alla promozione negli Stati Uniti. Ma non più - come avveniva in passato - nelle mete tradizionali come New York o Miami, bensì negli Stati in crescita come il Texas o il Michigan. «Quello americano è un mercato complesso, in un certo senso potremmo dire che sono cinquanta, come gli Stati: regole e sistemi fiscali possono essere molto diversi», dice ancora Calenda. In un mondo che a oriente è sempre più in subbuglio, l’esito dell’accordo di libero scambio fra Europa e Stati Uniti sarà decisivo anche per la ripresa del Pil italiano.

Alessandro Barbera


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