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giovedì 14 agosto 2014

Bianucci: Matematica: cade il teorema del maschio

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Cultura

Matematica, cade il teorema del maschio

Cade un tabù. La Medaglia Fields – il Nobel della Matematica – assegnata per la prima volta a una donna, per di più di origine iraniana, Maryam Mirzakhani, non è soltanto un giusto riconoscimento al merito scientifico, è soprattutto un forte segnale sociologico. Qualcosa sta cambiando. Una comunità scientifica prevalentemente maschile come quella dei matematici si è inchinata davanti a una collega rompendo una tradizione tenace e anche, forse, qualche complicità.

Paradossalmente, è soprattutto femminile (e spesso caricaturale) la figura dell’insegnante di matematica. La didattica è lasciata quasi tutta alle donne, specialmente in Italia. Ma a questo dominio scolastico non corrisponde altrettanto spazio nella matematica creativa: di solito le donne insegnano la matematica, ma non la fanno.

Nella storia culturale del nostro Paese per trovare un nome matematicamente rilevante bisogna risalire al Settecento e a Maria Gaetana Agnesi. Terza di 21 fratelli, milanese, sapeva di numeri e teoremi ma non solo di quelli. La soprannominarono «Oracolo Settilingue» perché parlava con disinvoltura tedesco, francese, inglese, spagnolo, ebraico, latino e greco. L’analisi di Eulero per lei non aveva segreti, ma quando le chiesero di valutare i lavori analitici di Lagrange garbatamente si sottrasse. Se fu modestia o soggezione di genere è difficile dire. Una sua contemporanea francese, Nicole-Reine Lepaute, brillante matematica, faceva complessi calcoli di meccanica celeste per l’astronomo Lalande, ma anche lei nell’ombra, come nell’ombra ne fu amante (non solo di lui, per la verità).

Eppure l’Illuminismo metteva le premesse della liberazione femminile proprio nelle scienze. Francesco Algarotti nel 1739 a Napoli pubblicava «Il newtonianesimo per le dame», 300 pagine, benevola divulgazione per fanciulle curiose e protofemministe. Lo stesso Lalande nel 1785 scrisse «L’astronomie des dames», titolo che oggi suona maschilista ma che all’epoca voleva essere galante. Chissà che ne pensò la paziente Lepaute.

Le matematiche del passato erano donne ribelli e anticonformiste. Solo così potevano occuparsi di teoremi e affini. Nell’Ottocento spicca Ada Lovelace, figlia del poeta romantico Byron, pioniera dei linguaggi di programmazione informatici, innamorata di quel Babbage che anticipò i computer con la sua «macchina analitica» tutta ingranaggi e bulloni. Ada dedicò l’ultima parte della sua vita al calcolo delle probabilità e lo applicò alle scommesse sulle corse dei cavalli. Ma andò in rovina.

Viene poi in mente la russa Sofia Kovalevskaja (1850-1891), prima donna in Europa a ottenere una cattedra universitaria, che nella sua vita breve trattò creativamente il problema della rotazione di un corpo rigido e si distinse anche come fine letterata. All’incirca sua contemporanea fu la francese Sophie Germain, famosa per i lavori di teoria dei numeri e nel campo della teoria dell’elasticità, mentre con Emmy Noether entriamo nel Novecento e tocchiamo con mano i meccanismi di esclusione maschilisti: per quattro anni fece lezione all’Università di Gottinga a nome del grande David Hilbert, fino a quando, dopo feroci opposizioni, nel 1919 le fu concesso di sostenere l’esame di abilitazione. Che superò facilmente, salvo poi continuare l’insegnamento senza stipendio fino al 1923.

Con la medaglia Fields a Maryam Mirzakhani incomincia un’altra storia. La geometria iperbolica di cui è specialista, una geometria che tanto affascinò Escher ispirandogli alcune delle sue inconfondibili opere d’arte, trova applicazioni di grande attualità in cosmologia, serve a disegnare evoluzione e destino di un universo aperto «a sella». Questa volta saranno gli scienziati maschi a sentirsi in soggezione.

Piero Bianucci


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