ebook di Fulvio Romano

martedì 19 agosto 2014

Imperia "capitale" italiana del crimine

LA STAMPA

Italia

Dai furti ai reati tributari

Imperia “capitale” del crimine

Un tempo città tranquilla, ora subisce crisi e infiltrazioni mafiose

Ultime notizie di reato. Passeur con ragazzo tunisino chiuso a chiave nel bagagliaio, fermato alla frontiera italo-francese. Furto con scasso nell’ufficio di un commercialista. Rissa in strada per futili motivi, molto alcolici. Misteriosa sparizione di un telefonino, sotto l’ombrellone di un prestigioso stabilimento balneare. Sette arresti dall’11 al 18 agosto. Altro, non c’è.

Sembra difficile credere ai dati del ministero della Giustizia, osservando la vita dalle scogliere affollate di Borgo Foce, detta vezzosamente «una piccola Portofino». Coccobello, focaccia oliosa. Gnocchi con le cozze a 7 euro. Parlano tutti dell’estate mai nata, adesso che altri nuvoloni neri già si stagliano all’orizzonte.

Eppure i dati non mentono mai. E i dati ufficiali, dicono: 8.496 nuovi processi penali avviati nel 2012. Una media di 39,6 per mille abitanti. La provincia di Imperia è la più problematica d’Italia. Batte Pescara, Teramo, Prato e Catanzaro, nell’ordine. Quattro residenti su cento, qui, hanno un guaio con la giustizia. Capitale del crimine? «Ma no», dice l’avvocato Erminio Annoni, uno dei più noti penalisti della zona. «Bisogna capire bene il peso specifico dei reati. Io vedo un aumento considerevole dei furti, un fenomeno che si registra in tutta Italia. Vedo diversi piccoli imprenditori incappare in reati tributari, come il mancato pagamento dell’Iva e dei contributi. Vedo, cioè, i reati della crisi».

La provincia di Imperia è una realtà complessa, piena di sorprese. Ci sono vecchie pensioni per turisti, gelaterie nuovissime. La pista ciclabile lungo il mare, che sfrutta un antico tracciato ferroviario. San Lorenzo al Mare. Arma di Taggia. Ospedaletti. I famosi gamberoni rossi, che ancora il mare si ostina ad offrire a chi può permetterseli. 219 mila residenti. C’è San Remo, già nota per il Festival dei Fiori e per le serrande incendiate dei negozi. La guerra del racket. Il quartiere «La Pigna», una piccola centrale dello spaccio, citata anche in intercettazioni internazionali. C’è Ventimiglia, alla fine della strada, con i problemi tipici di tutte le città di confine (305 espulsioni nel 2013, 76 passaporti falsi). Ed è in questo pezzo di Italia bellissimo e disgraziato, pieno di infrastrutture fatiscenti e seconde case, che l’infiltrazione della ’ndrangheta ha raggiunto livelli inauditi. Al punto che Rosy Bindi, presidente della commissione Nazionale Antimafia, il 7 luglio ha dichiarato: «Imperia è la sesta provincia della Calabria».

Erano già stati sciolti i Comuni di Ventimiglia e Bordighera, con l’elicottero dei carabinieri atterrato sulla piazza del municipio come per riconquistare la sovranità. Trentasei persone a processo, compreso l’ex sindaco di Ventimiglia e il suo direttore generale, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza è attesa a settembre. E allora, già si capisce meglio che non è tutto placido come appare dalle scogliere di Borgo Foce, con i bambini incremati e i materassini legati stretti sui tetti delle cabine. Lo dimostra il fallimento della società Porto di Imperia Spa, i debiti con le banche, i lavori interrotti, il processo a carico dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone per truffa ai danni dello Stato. Sul lungomare, restano tre scheletri di cemento armato. Sono il simbolo di questo tradimento. Tutto è fermo. Come sempre. Perché Imperia è detta anche «la grande incompiuta». Dovevano succedere tante cose, e invece... Il porto. Il raddoppio della ferrovia. La strada litoranea per Diano Marina. Nulla è stato finito. «E’ una provincia statica da troppo tempo, con una struttura imprenditoriale debole» dice Giorgio Marziano, direttore delle Unione delle Camere di Commercio della Liguria. Il 62% delle imprese sono individuali. C’è una sola azienda quotata in Borsa. Il pastificio Agnesi, sede ad Oneglia e fama mondiale, è prossimo alla chiusura. L’oleificio Isnardi ha chiesto il concordato preventivo. Secondo le proiezioni di Prometeia, i disoccupati sono destinati ad aumentare fino al 2015. Erano 7.700 nel 2000, 9.100 nel 2010, saranno 12.200 al termine del periodo nero.

Tira vento da terra, il mare fa la schiuma. Il barista dietro al bancone del chiosco azzurro è esasperato: «Mai visto un anno così negativo. Dovremmo chiedere lo stato di calamità naturale». Meno turismo, più crisi, infiltrazioni mafiose, cantieri fermi, reati connessi all’immigrazione clandestina, alta litigiosità sociale. Ed è così che questo pezzo di Nord italiano ha scalato la peggiore delle classifiche.

niccolò zancan


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