ebook di Fulvio Romano

venerdì 1 agosto 2014

Renzi vacilla, barcolla, poi reagisce...

LA STAMPA

Italia

Per Renzi il giorno più difficile

“Decide la politica, non i tecnici”

Dopo l’incidente parlamentare, lo spettro dei franchi tiratori e il rischio-palude

In serata rilancio europeo: designata la Mogherini per la politica estera Ue

Nella mansarda del Nazareno - tra i tetti della Roma barocca, là dove il Pd è solito riunire la sua Direzione - un Matteo Renzi in maniche di camicia bianca si congeda dai quadri del partito con queste parole: «Se noi ci rimettiamo a litigare, discutendo per una poltrona e delegando ai tecnici il compito di governare, perderemo una parte dell’elettorato...».

Dalla platea della Direzione si alza un applauso che dura sei secondi, un congedo breve che racconta il pathos tiepido che in queste ore circonda la leadership renziana anche dentro il suo partito. Ma per il presidente del Consiglio i fastidi sono arrivati soprattutto fuori dal Pd, nel corso di un «giovedì nero» destinato a rivelarsi sul far della sera come una delle giornate più complicate per il presidente del Consiglio, forse la più complicata da quando Matteo Renzi è a palazzo Chigi.

Una striscia costellata di punti neri: la mattina si è aperta al piano nobile del palazzo del governo, con la lettura delle prime pagine dei giornali, che davano tutti grande rilievo al blog molto critico scritto la sera precedente dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli; per Matteo Renzi qualche sospiro lo provocava anche la lettura dell’intervista critica verso il governo rilasciata da Diego Della Valle alla «Repubblica», sintomo di un’incipiente perplessità da parte di una area imprenditoriale che aveva salutato con simpatia l’avvento al governo del sindaco di Firenze. Ma poi la sequenza è proseguita: a fine mattinata, non appena i senatori hanno avuto l’opportunità di votare a scrutinio segreto sulla riforma del Senato, hanno immediatamente mandato «sotto» il governo, attribuendo al «nuovo» Senato poteri imprevisti.

Poi, all’ora di pranzo, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha preso atto in una dichiarazione che la «situazione economica in Italia è meno favorevole di quello che speravamo a inizio anno». A metà giornata continuava a piovere: un dispaccio delle agenzie dava notizia della nota mensile dell’Istat, secondo la quale tutti i segnali sembrano delineare una fase di sostanziale stagnazione dell’attività economica. Sul far della sera, governo e maggioranza venivano battuti in commissione Giustizia del Senato su un emendamento soppressivo, a firma Francesco Nitto Palma, di Forza Italia, al Dl Carceri.

Certo, tanti piccoli punti neri e nessuna sconfitta pesante. Eppure, nei 159 giorni precedenti, mai si era materializzata una giornata così in salita per il governo Renzi. Davanti ad un rosario di eventi così avversi, il presidente del Consiglio, svelto di testa come è, ha deciso di differenziare le sue repliche: ha assorbito il colpo sul fronte del Senato, ha rilanciato, attaccando, sul fronte Cottarelli-conti pubblici. E, davanti al rischio-palude, ha aperto sulla legge elettorale, alludendo a concessioni che un domani possano mettere d’accordo un ampio fronte, da Berlusconi a Vendola.

Per il governo il passaggio più delicato si era consumato nella votazione segreta sull’attribuzione al Senato di competenze su «materie eticamente sensibili», la maggioranza è andata sotto. Un segnale forte contro Renzi. Nei minuti successivi i quadri renziani hanno rispolverato un vecchio refrain: «La ricarica dei 101», scriveva su Twitter l’eurodeputata Pina Picierno. E Francesco Nicodemo, responsabile comunicazione del Pd: «Nonostante la ricarica dei 101 cambieremo in meglio questo Paese». Renzi, nel suo studio a palazzo Chigi, scuoteva la testa, intuiva che se si fosse aperto un fronte dentro il Pd la giornata si sarebbe trasformata in una Waterloo. E infatti ha sconfessato quella linea: «Siamo andati sotto per la presenza di franchi tiratori, ma utilizziamo un linguaggio sereno, non è il remake dei ’101´».

Poi, in serata, Renzi ha deciso di procedere nel modo più hard nell’indicare Federica Mogherini (con una lettera al presidente della Commissione europea Junker) come candidata italiana all’incarico di Alto Rappresentante per la politica estera della Ue. Procedura irrituale, quella italiana, che è una conseguenza di una forzatura procedurale da parte di Bruxelles. Ieri sera infatti scadeva il termine, imposto ai Paesi della Ue dal presidente della Commissione europea Juncker, per la presentazione dei 27 candidati ad assumere un portafoglio nell’«esecutivo» dell’Unione.

Una procedura irrituale almeno nel caso dell’Alto rappresentante, che è anche vice-presidente della Commissione, che secondo i Trattati è indicato dal Consiglio europeo, il consesso dei capi di governo. Ma poiché nell’ultimo vertice la decisione è stata rimandata al Consiglio del 30 agosto, Renzi (che punta proprio sull’Alto rappresentante), non ha designato la Mogherini come semplice commissaria, ma ha già «suggerito» l’incarico. Una procedura destinata a scatenare reazioni a Bruxelles.

FABIO MARTINI


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