ebook di Fulvio Romano

domenica 22 ottobre 2017

Fernando Aramburu “La Spagna è ancora fragile Non riesce mai a uscire dalle sue lotte territoriali”

LA STAMPA

Esteri


Lo scrittore: “Difficile dire se il Paese sta scoppiando

Ma qualcosa nel modello catalano è andato storto”

Quando nei Paesi Baschi il terrorismo uccideva quasi ogni giorno e la violenza era l’unico linguaggio, Fernando Aramburu guardava alla Catalogna «con interesse, anzi con invidia». Per l’autore di «Patria», il romanzo (pubblicato in Italia da Guanda) che racconta gli ultimi drammatici anni dell’Eta e le sue conseguenza sulla società, ora è uno choc vedere come quella terra sia diventata di conflitto, sebbene per fortuna, «soltanto istituzionale». 

Aramburu, si sta rompendo la Spagna? «Non saprei dire se si arriverà a questo punto. Questa è una delle crisi territoriali, di cui la storia spagnola è piena e che dimostra la fragilità nostra. Per me vale la massima di Bismarck: Che diceva: «La Spagna è il Paese più forte del mondo. Sono secoli che gli spagnoli cercano di distruggerla e non ci sono mai riusciti». Vede come è attuale?». I conflitti territoriali fanno parte della storia? «Se uno vede la storia del nostro Paese, sin dal Medioevo, troverà tantissimi conflitti tra diverse regioni, i castigliani, i leonesi, i navarri, i baschi. Queste vicende si sono ripetute anche nel XIX secolo, nel XX, speravo di non dover aggiungere anche la nostra era, ma vedo che è impossibile». Ci sono dei confronti possibili con il passato dei Paesi Baschi che lei ha raccontato nel romanzo Patria? «Le aspirazioni, l’indipendenza, possono assomigliarsi, ma qui ci fermiamo. La metodologia, grazie a Dio, è completamente diversa. Nella mia terra c’era assassinii e assaliti, si uccideva per la strada, in Catalogna il conflitto non ha i morti che contavamo praticamente ogni giorno. Si tratta di un conflitto istituzionale, che certo sta diventando molto diverso. Ma il terrorismo è un’altra cosa». Il nazionalismo ha dei meccanismi che si ritrovano a diverse latitudini? «Il nazionalismo ha una caratteristica comune: non è mai soddisfatto dei risultati ottenuti e chiede sempre di più. Mi sembra che stia succedendo anche a Barcellona». Cosa significava la Catalogna per i baschi che, come lei, si trovavano a vivere l’incubo del terrorismo? «Ci sarebbe piaciuto vivere lì e provavamo invidia per chi ci si trasferiva. Era una terra dove prevaleva la sensatezza, quello che in catalano si chiami il “seny”, si scommetteva su una via di dialogo. Per noi rappresentava un sogno, un posto dove vivere senza le ansie alle quali eravamo abituati. Il catalanismo esisteva ed era forte, ma puntava sulla convivenza con il resto della Spagna».Poi cos’è successo? «Passo molto tempo a cercare di capirlo, parlo con i miei amici lì e li vedo molto angustiati. Credo che la crisi economica abbia giocato un ruolo fondamentale. Il nazionalismo a quel punto ha venduto un progetto di nuovo Stato, dove tutto sarebbe stato migliore. La Catalogna era la zona industriale che attraeva milioni di spagnoli. Ora vedo che le imprese principali scappano, segno che è andato storto qualcosa». Le istituzioni basche si stanno schierando in queste ore con la Catalogna, si rischia un effetto domino che può travolgere la Spagna? «Nei Paesi Baschi c’è un governo moderato, guidato dai nazionalisti alleati con i socialisti. Oggi è una società pacifica, l’opzione indipendentista non è sul tavolo. Il presidente Urkullu critica Madrid, ma ha ripetuto spesso che la via basca è molti diversa da quella catalana». [fra. oli. ] BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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