ebook di Fulvio Romano

domenica 22 ottobre 2017

Rajoy, mani sulla Catalogna Puigdemont: è come Franco

LA STAMPA

Esteri

Lo scontro


Il premier toglie i poteri alla regione: sospesi i leader, sotto tutela i Mossos

Barcellona si ribella, in 450 mila in piazza. Il leader convoca il Parlamento

Dopo tanta prudenza, il premier Rajoy usa la mano dura con la provincia ribelle. Di fatto la Catalogna si prepara a un nuovo presidente, si chiama Mariano Rajoy. Il premier spagnolo assumerà dalla settimana prossima, a meno di colpi scena ulteriori, i principali poteri del presidente della Generalitat catalana, primo fra tutti quello di convocare elezioni in nome dell’articolo 155 della Costituzione. Dopo anni di una certa vaghezza, stavolta il messaggio è chiaro: destituito Carles Puigdemont, il suo vice Oriol Junqueras e tutto il governo locale. Barcellona reagisce immediatamente, con proteste spontanee e una grande manifestazione (oltre 450.000 mila persone in piazza), antipasto di quello che potrebbe succedere nei prossimi giorni. Podemos grida al golpe, i socialisti appoggiano il premier ma contano le prime defezioni. La sensazione è quella di un sistema terremotato. 

Quando Rajoy annuncia i provvedimenti al Palau di piazza Sant Jaume, sede dell’autogoverno catalano, qualcuno piange, l’attacco, o il contro attacco, è più energico di quanto ci si aspettasse. «Ci verranno a prendere?». E già ci si immagina Mossos che difendono il palazzo del governo e governi in esilio che la Spagna ha già conosciuto. La voglia di resistenza, la presidente del parlamento Carme Forcadell lo dice quasi esplicitamente, fa da contraltare ai ragionamenti dell’ala moderata: qualcuno capisce che una via d’uscita c’è e senza doversi arrendere. La sospensione dell’autonomia catalana, infatti, non è ancora entrata in vigore, manca il via libera del Senato, che arriverà venerdì prossimo (in quella sede nessuna sorpresa, il Partito Popolare ha la maggioranza assoluta). 

Il premier spagnolo, capendo l’enormità delle sue decisione, prova a smussare, ma il senso è subito chiaro: il parlamento di Barcellona, che tante sfide alla legalità spagnola ha portato avanti in questi anni, non viene chiuso ma esautorato dalla funzione principale, quella di proporre il candidato presidente e di celebrare i dibattiti di investitura. Il governo spagnolo avrà potere di veto sulle decisioni della camera. In modalità ancora poco chiare, lo Stato spagnolo dirigerà il lavoro dei Mossos d’Esquadra, la polizia locale e quello dei mezzi di comunicazione pubblici, televisione e radio. Si prende possesso anche delle finanze dell’autonomia. Insomma, quasi tutti gli ambiti. Non è la versione chirurgica dell’articolo 155 che si aspettavano molti, ma forse è l’unico modo individuato per «ristabilire l’ordine costituzionale», come aveva intimato il re di Spagna dopo il referendum.

Per la Catalogna è un colpo durissimo, l’autogoverno non è soltanto una pratica amministrativa e politica, ma una sorta di simbolo imprescindibile. Rajoy lo sa e fissa un termine massimo per il proprio intervento: «Entro sei mesi la Catalogna tornerà al voto». Il premier convocherà nuove elezioni, «non appena verrà ristabilita la normalità», un obiettivo, questo, impensabile specie alla luce di questi interventi. 

Prima dell’abisso però ci sono cinque giorni. Per evitarlo Puigdemont potrebbe convocare lui le elezioni anticipate, prima che questa facoltà gli venga tolta. «Non si tratta di una resa, ma di salvare le nostre istituzioni», ragionano i moderati della coalizione. 

Per il momento la modalità è quella delle resistenza, pacifica ma ferma. Puigdemont interviene alle 21 con un messaggio istituzionale durissimo nella critica a Rajoy, ma (al solito) abbastanza vago sulle sue mosse. «Quello del governo spagnolo è un attacco alla democrazia, il peggiore dopo quello di Franco, vogliono liquidare l’autogoverno. Si cerca l’umiliazione di tutta la nostra vita pubblica». Una dichiarazione d’indipendenza resta l’ipotesi più probabile nei prossimi giorni, ma Puigdemont non si sbilancia, limitandosi a convocare il parlamento, evidentemente prima di venerdì. I partiti indipendentisti vogliono accelerare, lunedì si riuniscono i capigruppo in parlamento e fisseranno la data della seduta, prima data utile, il 24 ottobre. 

Il calendario non aiuta ma nemmeno condanna: c’è tempo per salvarsi dal baratro.

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franceesco olivo


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