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giovedì 16 novembre 2017

la lezione del calcio per la ripresa ( Deaglio)

LA STAMPA

Cultura

la lezione 

del calcio

per la ripresa

Gli italiani si intendono molto di più di calcio che di economia. Sanno in genere discutere con competenza di partite e di strategie degli allenatori, di tiri in porta e calci di rigore mentre di solito non sono esattamene a loro agio quando si parla di imposte, bilanci pubblici, disoccupazione e tassi di crescita del Pil. Per questo, il messaggio della partita di lunedì è arrivato secco e chiaro, assai più di un’intera batteria di dati economici dell’Istat: nel calcio siamo stati sconfitti, siamo in crisi, non siamo più tra i grandi.

Accanto alla dimensione collettiva, l’economia ha una fortissima componente individuale che ci fa pensare che, certo, le statistiche possono non andar bene ma, almeno nell’immaginario collettivo, c’è sempre qualcuno che ci guadagna, che ne approfitta. 

Se poi i dati indicano una ripresa ma, nel mio bilancio famigliare, io la ripresa proprio non la vedo, mi sento giustificato a dire che la ripresa non c’è, a contestare la validità delle cifre.

Al calcio, soprattutto nelle partite della Nazionale, il risultato è incontestabile e la dimensione individuale manca del tutto: è chiaro che martedì siamo stati sconfitti tutti, che soffriamo tutti anche se alcuni settori (a esempio la pubblicità televisiva che si gonfiava durante le partite dei Mondiali) avranno una sofferenza aggiuntiva di tipo finanziario. E questo è particolarmente vero in una partita come quella contro la Svezia in cui non ci si può appigliare a un errore dell’arbitro.

Per questo motivo, i giocatori stavano ancora uscendo avviliti dal campo e già iniziava il dibattito sul dopo-sconfitta. Non solo su chi dovrebbe dare le dimissioni ma su come devono essere riorganizzati i meccanismi di scelta dell’allenatore e di formazione dei giocatori e di selezione di quelli della Nazionale e l’intero «settore calcio». Chi partecipa al dibattito è ben consapevole che il processo di «rinascita» durerà anni e non potrà essere una semplice replica del passato. Tutto il contrario per l’economia: negli abbozzi di programma delle forze politiche (programmi veri e propri in giro non se ne vedono, specie a lungo termine) persiste il mito della formula magica, della misura miracolosa. Basta toccare questa o quell’imposta, modificare questa o quella legge e tutti staranno subito meglio.

In realtà, in termini economici, sono almeno diciotto mesi che il Paese sta un po’ meglio: produzione e occupazione aumentano, gli investimenti cercano di ripartire, persino quel pachiderma addormentato che è l’industria delle costruzioni prova a stiracchiarsi un poco. Siccome però, in questo mondo pieno di numeri manca una cifra «secca» come 0-1, nessuno ci fa caso. E forse ben pochi ci credono davvero.

Nello stesso giorno in cui l’Italia del calcio perdeva a San Siro, l’Italia dell’economia non sfigurava a Bruxelles: il Pil del terzo trimestre, secondo i dati di Eurostat, risultava in aumento dello 0,5 per cento: su 20 economie di cui l’ente statistico europeo ha comunicato i risultati, 10 avevano fatto meglio, altre 2 erano a livello italiano e 7 mostravano risultati peggiori. Siamo un po’ sotto metà classifica, dopo essere stati a lungo il fanalino di coda, o quasi. Rispetto al terzo trimestre 2016, abbiamo fatto registrare un +1,8 per cento, ancora verso il fondo della classifica ma con la possibilità, se continuiamo a tenere questo passo, di raggiungere il 2 per cento, del tutto inaspettato fino qualche settimana fa. È una quieta risalita, purtroppo con fortissime differenze di settore e di regione, che dovrebbe permetterci di toglierci un poco di angoscia di dosso.

I nuovi dirigenti del calcio saranno scelti, presumibilmente, in poco tempo e si spera, saranno ben consapevoli di avere davanti a sé un lavoro duro, difficile e sicuramente lungo. I «dirigenti» dell’Italia economica e politica sono chiamati a sceglierli tutti gli italiani di qui a qualche mese. È giusto sperare che chi si vedrà attribuire dagli italiani le responsabilità di vertice dell’economia e della politica abbia la stessa sensibilità dei colleghi del calcio. Che si renda, cioè, conto di avere davanti a sé un lavoro lungo e difficile. Con il vantaggio che la Nazionale di calcio deve ripartire da zero mentre l’economia italiana è già ripartita.

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Mario Deaglio


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