ebook di Fulvio Romano

venerdì 17 novembre 2017

Per fortuna che Leonardo c’è ( il Salvator mundi da 450 milioni )

LA STAMPAweb

Cultura

Per fortuna

che Leonardo c’è

Bocciati nel calcio, ci consoliamo con il primato nell’arte

per l’opera più cara di tutti i tempi. Stracciato Warhol,

più che la rivincita degli antichi è il trionfo dello star system 

Consoliamoci, non siamo andati ai Mondiali ma almeno nell’arte abbiamo ripreso la medaglia d’oro per l’opera più cara del mondo. E chi se non Leonardo poteva essere il nostro Usain Bolt che in 19 lunghissimi minuti ha frantumato il record delle aste di qualsiasi tipo di arte? Picasso che con i suoi 179,4 milioni di dollari raggiunti nel 2015 sembrava imbattibile, ma anche Cézanne e Gauguin che sul mercato privato si racconta siano stati venduti per quasi 300 milioni di dollari, sono stati distanziati da un’opera che fino a poche ore fa non si pensava nemmeno fosse così in gran forma, se non addirittura dopata. Invece Christie’s, la casa d’aste che l’ha venduta, ha saputo farla giocare nel modo giusto, spostandola dall’arrancante mercato d’arte antica in quello scoppiettante e pieno di celebrità dell’arte contemporanea.

«Purché se ne parli»

La mossa tattica è stata strabiliante e vincente. La fama di Leonardo è stata vendicata. La battaglia nella sala d‘aste è stata dura, anche se poi, arrivati a 350 milioni di dollari, fra tanti «Huuuu» e tanti «Ahhhhha» qualcuno al telefono con un direttore di Christie’s ha tagliato la testa al toro offrendo per il Salvator mundi 400 milioni (che con i diritti d’asta fanno appunto 450,3 milioni) e chiudendo così la partita. Chi sia costui non si sa ancora ma presto sarà noto, perché chi compra l’opera più costosa nella storia del mercato dell’arte vuole che prima ho poi lo si sappia.

Con 450 milioni l’acquirente non si è comprato infatti tanto un Leonardo con molti problemi di conservazione, ma più che altro un record. Chi fa i record vuole farlo sapere, se no che soddisfazione c’è? Il Leonardo da solo, senza questo prezzo e il tam-tam di comunicazione messo in piedi da Christie’s, non sarebbe stato in grado di attrarre tanta attenzione. Per alcuni non era nemmeno Leonardo al 100 per cento. Per Luke Syson, curatore della mostra leonardesca del 2011 alla National Gallery di Londra, il dipinto era autentico, anche se a detta sua solo le mani erano sopravvissute a restauri di ogni genere che lo avevano devastato. Nel 1958, quando apparve per la prima volta sul mercato, fu considerato una copia e venduto per 45 sterline. Sessant’anni dopo e sette zeri in più, e il gioco è fatto, l’autenticità è consacrata. 

Di veri Leonardo all’asta non ne sono mai arrivati. L’ultimo dipinto antico che fece un certo scalpore fu un Rubens, Il massacro degli innocenti, che nel 2002 raggiunse i 76,7 milioni di dollari. Ma oramai da molti anni l’arte moderna e quella contemporanea hanno fatto la parte dei leoni umiliando, per quel che riguarda il mercato, i maestri del passato. Mercoledì sera, prima dell’asta, c’era chi pensava che le Sessanta Ultime cene di Andy Warhol, prese in prestito da quella di Leonardo, avrebbero potuto addirittura essere vendute a un prezzo più alto del Salvator mundi. Non è stato così, anche se hanno comunque raggiunto la cifra di 60 milioni di dollari.

I mercanti dell’arte antica sanno tuttavia che questa è per loro una vittoria di Pirro. Certo un discusso quasi capolavoro di un inimitabile maestro ha spazzato via la concorrenza dei vari Picasso, Modigliani, Basquiat e compagnia bella, ma l’ha fatto solo perché proiettato sul palcoscenico della contemporaneità e della celebrità. Lasciato al suo destino di opera antica, il quadro forse sarebbe potuto persino finire invenduto.

Il Salvator mundi ha beneficiato di un vecchio detto oggi un po’ in disuso, «Parlate di me, basta che ne parliate» - anche se Harvey Weinstein non sarebbe d’accordo. Così è stato. Il critico d’arte contemporanea Jerry Saltz si è lanciato anche un po’ dissennatamente in una campagna contro l’autenticità del dipinto, così come tanti altri, ma non è servito a nulla. Il rumore, la trovata di metterlo in mezzo alla contemporaneità più spinta, l’evento, hanno sovrastato contenuto, qualità e razionalità. Il tutto chiaramente aiutato dal nome dell’autore, Leonardo, che forse potrebbe entrare in competizione in termini di marketing e popolarità solo con Michelangelo e Caravaggio.

Nell’era del branding

Se nell’asta di arte contemporanea avessero buttato anche la più grande opera di altri maestri antichi, non credo proprio ce l’avrebbero fatta a sfangarla. Nemmeno Giotto, secondo me, avrebbe passato il test. C’è chi vede attorno a tutto questo una grande decadenza e negatività. L’arte ridotta a numero, per quanto alto questo sia. In parte è vero. Il valore dell’arte non dovrebbe essere proporzionale al suo prezzo. Ma viviamo nell’era del branding, del lusso e dell’eccesso di celebrità. Inevitabilmente tutto subisce in parte quella che con un termine dotto avrebbe chiamato Weltanschauung, spirito o rincoglionimento dei tempi.

Ma sforzandosi di vedere il bicchiere mezzo pieno, andrebbe ricordato che non troppi anni fa, quando il servizio militare era d’obbligo, in un test di cultura generale che dovevano fare le giovani leve, molti alla domanda «Chi era Leonardo» scrivevano le cose più strampalate, da «il Papa» a «un calciatore famoso». Oggi forse, anche grazie al suo nuovo prezzo al dettaglio, la gente sarà un po’ meno, diciamo, ignorante. Non solo, subito dopo l’opera di Leonardo Christie’s ha provato a vendere un lavoro del fuoriclasse contemporaneo Basquiat con sopra scritto «Il Duce». Nessuno l’ha comprata. Non tutti i marchi, per fortuna, funzionano, poco importa il loro prezzo. Non va infine dimenticato che nelle poche settimane duranti le quali Christie’s ha esposto l’opera più di 27.000 persone si sono messe in fila per vederla La maggior parte di loro sicuramente non intenzionata a considerarne l’acquisto, ma anzi felice che non si dovesse pagare nemmeno il biglietto.

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Francesco Bonami